Riproponiamo una breve storia dell’usanza e credenza popolare dedicate a San Biagio, protettore della gola, già pubblicato su Orizzonti.
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Si scoprono ancora nuove malattie delle quali non si conosce l’origine e, tanto meno, la cura. È un destino che probabilmente perseguita l’umanità fin dalle origini. In altri tempi, anche da noi, quando i dottori non riuscivano a spiegare il perché di certe malattie, per molti l’unica soluzione era ricorrere all’intercessione dei santi del Paradiso (San Rocco, Sant’Antonio, San Pantaleone). Oggi, per esempio, non si ricordano quasi più la paura e i danni causati da malattie come la difterite, che un tempo colpiva soprattutto i nostri bambini. Eppure i primi sintomi di questa infezione, come l’odierno coronavirus, potevano assomigliare a quelli di una banale influenza, in quanto una volta che il batterio patogeno penetrava all’interno dell’organismo colpiva innanzi tutto la gola, il naso e le tonsille. Da noi fortunatamente non conosciamo quasi più il pericolo della difterite grazie alla vaccinazione, disponibile fin dal 1920, eppure questa infezione, che si trasmette per via respiratoria o attraverso il contatto con oggetti contaminati o ferite infette, è ancora presente in alcuni paesi in via di sviluppo.
Cosa c’entrano i vecchi e onnipresenti santi in questa storia, per esempio San Biagio, che si festeggia il prossimo 3 febbraio con la consuetudinaria “benedizione della gola”? Come si narra nell’articolo che pubblichiamo quest’antico rito ci aiuta a ricordare dei tempi passati e di strane malattie, di chi siamo, di che cosa siamo fatti, nel bene e nel male. In qualche modo rappresenta un ammonimento. Se con il progresso scientifico siamo riusciti ad acquisire una maggiore consapevolezza sulla fragilità umana, non siamo stati altrettanto bravi nella cura del nostro corpo e nella dovuta attenzione alle condizioni e qualità di vita, in qualsiasi parte del nostro pianeta, laddove il nostro essere umano ci rende ovunque connessi, dalla Cina all’Europa.
La Compagnia dello Spirito Santo è la più antica confraternita dedita alle opere di Misericordia sorta nel “castello di Vinci”. Il primo documento della Compagnia, conservato presso l’archivio comunale è datato 1513. Dai registri si legge che la Compagnia nasceva dalle ceneri di un sodalizio della prima metà del Quattrocento intitolato alla Vergine Maria e a San Biagio. Il culto di San Biagio, vescovo di Sebaste in Armenia, è ancora oggi molto sentito dal popolo di Vinci, testimoniato dal bellissimo dipinto del Miracolo di San Biagio, opera di Gaetano Piattoli del 1756, già collocato sull’altare della famiglia Alessandri nella chiesa di S. Croce (da T. Berni in “La Compagnia dello Spirito Santo” , IV Quaderno di Vinci nel Cuore!). Quello di S. Biagio è uno dei culti cristiani più antichi, condiviso dalla chiesa d’Oriente.
San Biagio, Vescovo di Sebaste, visse e fu martirizzato con la decapitazione nel IV secolo d.C. dopo essere stato scorticato con pettini di ferro e gettato in un lago. Prima di diventare vescovo era stato medico. Per sfuggire alle persecuzioni aveva vissuto in una grotta tra i monti dove ammansiva e curava gli animali selvatici. Tra i miracoli del santo c’è l’intervento per salvare la vita di un ragazzo soffocato da una lisca di pesce. Per questo è invocato dai fedeli contro il mal di gola. In molti paesi del Montalbano è ancora vivo l’uso di invocare il 3 febbraio la protezione del santo incrociando due candele sotto la gola. L’appuntamento per questo rito di intercessione e benedizione è al termine della messa del giorno.
Non è un caso se la citazione scritta più antica legata al santo sia proprio di un medico vissuto nel VI Secolo: “Se la spina o l’osso non volesse uscire fuori, volgiti all’ammalato e digli «Esci fuori, osso, se pure sei osso, o checché sii: esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena». Ovvero, fatto sull’ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi «O ascendi o discendi»“. (Ezio di Amida, Opus medicum libris XVI, traduzione di G. Corsaro del 1567).
Al rito, un tempo, venivano accompagnati soprattutto i bambini. Per chi scrive era un appuntamento annuale obbligato, soffrendo durante l’inverno di forti mal di gola. Non ho mai capito bene il perché di questa strana “benedizione”, finché Claudio Lapucci, storico toscano di tradizioni popolari, non mi ha fatto notare un collegamento a una terribile realtà del passato e, soprattutto, a una malattia della gola, spesso mortale, che attaccava i bambini: la difterite. Fino ai primi dell’Ottocento, fu confusa con altre malattie della gola. Quando si presentava un mal di gola in un bambino, soprattutto in questa stagione, i familiari si preoccupavano perché non si sapeva come poteva finire, senza magari spiegarsi il motivo. La vaccinazione obbligatoria ci ha fatto dimenticare questa malattia, che purtroppo è ancora presente in paesi meno fortunati.
Della benedizione di San Biagio quindi si ha ancora bisogno. Per terminare in modo scherzoso, suggerisco alcuni vecchi proverbi a conferma della popolarità del santo: “Se a San Biagio il sole è buono, dell’inverno siamo fuori”; oppure: “San Biagio la goccia al naso”, a dimostrazione che in tale periodo il clima è ancora freddo, seppure ancora per poco “per San Biagio l’invernata è fuori”. Curioso infine il detto: “Per San Biagio tutte le giovani storcono il naso”, in quanto era l’ultima data tradizionalmente disponibile per il matrimonio, prima dell’arrivo della Quaresima.
Tiziana Berni
Questo articolo è stato pubblicato su Orizzonti nel numero di gennaio-febbraio 2017