Moira Falai, Premio Speciale per la Comunicazione

Il pandemonio durante la pandemia

È evidente che la pandemia è uno spartiacque fra un “prima” e un “dopo”. Siamo cambiati noi, il modo di lavorare, il modo di vivere le città e le relazioni.

È evidente che la pandemia è uno spartiacque fra un “prima” e un “dopo”. Siamo cambiati noi, il modo di lavorare, il modo di vivere le città e le relazioni.

E d’improvviso tutto è cambiato.
“Andrà tutto bene, saremo migliori”… Questo il mantra che – animati da patriottico orgoglio – ci siamo ripetuti da balconi e finestre per almeno due mesi, da quando il nuovo coronavirus (Sars-Cov-2) è entrato di prepotenza nelle nostre vite, cogliendoci impreparati ad affrontarlo.
Di fronte all’emergenza sanitaria che ha paralizzato il mondo, l’unica cosa che ci era richiesta era restare a casa o, per meglio dire, “in” casa, in modo da non prestare le nostre gambe al virus che non ce l’ha e quindi impedirne il più possibile la diffusione.
È che, così facendo, hanno dovuto fermarsi tante attività (a parte quella encomiabile del personale sanitario negli ospedali, quella giornalistica ritenuta altrettanto fondamentale e poche altre indispensabili).
Chi doveva muoversi, poteva farlo solo per seri motivi segnalati su un’autocertificazione, dotato di guanti e mascherina, evitando di entrare in contatto con chicchessia.
Poche, semplici regole, dettate più dal buon senso e dalla buona prassi che non da improbabili volontà dittatoriali dei nostri governanti. Eppure c’è chi ha gridato allo scandalo, al sequestro di persona, all’inettitudine di chi comanda.
E per fare cosa?
Per correre nei parchi e sfoggiare la smagliante forma al primo aperitivo con gli amici, con l’unico conseguente rischio di nuocere a sé e agli altri.
Oppure: possibile che non possiamo andare a pescare o a piantare i pomodori nell’orto? Cosa vuoi che sia se ci troviamo in famiglia, fra congiunti di sesto grado, per una braciata al barbecue?
E che diamine! Possiamo rinunciare a tutto ciò mentre, non lontano da noi, si muore a centinaia al giorno e non c’è posto per le sepolture?
Ma sai, occhio non vede, cuore non duole… Qui siamo stati lontani anni luce dall’epicentro della pandemia e il benché minimo sacrificio è parso fin troppo insopportabile.

Altro che migliori. A me pare che l’uomo abbia dimostrato anche in questo frangente il lato peggiore di sé. Ognuno a escogitare un cavillo per poter fare a modo suo, perché le restrizioni fanno male a tutti – si sa – ma c’è sempre quello che vuole distinguersi, che crede di poter eludere le regole, non si sa bene per quale ragione superiore.
In tutto questo hanno avuto peso e responsabilità le grosse indecisioni della politica e del famigerato comitato tecnico-scientifico, che hanno sfornato una dietro l’altra misure di contenimento a dir poco contraddittorie, accompagnate spesso da lacune in termini di comunicazione. Sì, perché le indicazioni della task force adottate dal Governo, non possono essere diktat, poiché in ballo c’è niente meno che la democrazia.
Dovete indossare i dispositivi di protezione individuale“. Ma non si trovano. Oppure ti arrivano a casa le mascherine gentilmente offerte dalla Regione, ma c’è scritto sopra che non sono dispositivi di protezione individuale. Cosa fare?
Era troppo difficile spiegare chiaramente che le mascherine chirurgiche proteggono gli altri e non te stesso, ma che tenere il naso fuori non vale? Che i DPI sono le cosiddette FFP2 e FFP3, strettamente necessarie in certi ambienti di lavoro e non nella vita di tutti i giorni?
Dovete stare almeno a distanza di un metro“. Ma in Toscana serve a un metro e 80, tuttavia un metro e mezzo va bene. Purché sulla spiaggia siano almeno cinque e in classe (quando riapriranno le scuole) non ci siano più di dieci bambini per volta.
Al ristorante poi, guai a sedersi di fronte al marito col quale, peraltro, non hai mai smesso di andare a letto. E così via, salvo rimodulare a ogni pie’ sospinto le misure appena enunciate.

Arginare le fake news è stata un’altra impresa titanica, perché è più facile credere a chi si è laureato all’Università della Vita, piuttosto che agli scienziati impegnati nello studio della pandemia.
Così il virus è stato creato appositamente in un laboratorio cinese per favorire le multinazionali del farmaco e avvelenarci con i vaccini, secondo un complotto mondiale di cui – ovviamente – certi poteri occulti vogliono tenerci all’oscuro.
E ora che il virus fa meno male e che sembra “addomesticato” (vuoi per l’affinamento delle terapie sui malati, che grazie ai comportamenti virtuosi di chi ha applicato coscienziosamente le direttive nazionali, regionali e locali), ebbene in pochi credono a quegli stessi scienziati che continuano a dire di non abbassare la guardia perché il coronavirus non ha perso la sua virulenza, ma tornerà a colpire se troverà la strada spianata dalla nostra superficiale disattenzione.
Le prime settimane della Fase 2 lanciano segnali incoraggianti, ma il pericolo di tornare in emergenza è dietro l’angolo.
Tuttavia è chiaro a tutti che la pandemia è uno spartiacque fra un “prima” e un “dopo”.
Siamo cambiati noi, il modo di lavorare, il modo di vivere le città e le relazioni.
Ora serve uno scatto d’ingegno per rendere il mondo un posto migliore di come lo abbiamo conosciuto finora.
La Natura – tanto cara a Leonardo da Vinci – ci ha dimostrato che senza le attività dell’uomo il pianeta Terra vive meglio; flora e fauna hanno riconquistato i loro spazi. Ci ha inviato un segnale che dobbiamo cogliere in tutti i modi, approfittando della drammatica esperienza del lockdown per reinventare un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente.
Il mio timore – come dicevo all’inizio – è che invece non siamo diventati affatto migliori e che le nuove povertà inflitte da una crisi economica senza precedenti possano mietere tante altre vittime in questo pandemonio.

Moira Falai
Premio speciale ‘Vinci nel Cuore’ per la comunicazione 2016
28 maggio 2020

Leggi tutta la serie de “Il coronavirus raccontato dai Cronisti Toscani”

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