Le poetesse toscane e l’arte dell’ottava rima

L’Otto marzo in rima, al femminile, e con l’accento toscano. Tamara Morelli ci porta in giro per la nostra terra a conoscere alcune poetesse.

Nell’immagine: Teresa Bandettini in un ritratto di Angelika Kauffman

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Talento e creatività sono doni della natura assai graditi da chi ne è dotato. Per fortuna la natura è giusta e provvede senza fare attenzione se si tratta di uomo o donna. In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale a lei dedicata, ho pensato a donne d’ingegno, poetesse e improvvisatrici di versi e stornelli, che con passione e determinazione sono riuscite a farsi valere e meritano quanto gli uomini e anche di più di essere ricordate e fatte conoscere.

La nostra Toscana detiene il primato per la poesia d’improvvisazione, espressione di una cultura che si identificava con la trasmissione orale delle tradizioni della comunità. Accanto agli uomini con questo talento ci sono state anche molte donne dotate di eccellenti capacità comunicative ed espressive.
Andando indietro nel tempo, tra Settecento e Ottocento, ricordiamo la pistoiese Maria Maddalena Morelli ( 1727-1800), celebrata con lo pseudonimo di Corilla Olimpica, a cui si ispirò Madame De Stael per il suo romanzo “Corinne ou l’Italie”; la livornese Fortunata Sulgher Fantastici (1755-1824), la lucchese Teresa Bandettini, Beatrice Bugelli di Pian degli Ontani e la brava Giannina Milli di Teramo.
La poesia popolare e campestre ebbe una larga fioritura in Toscana e fu raccolta da Niccolò Tommaseo nei “Canti popolari toscani”.

L’Ottocento, con i primi sussulti risorgimentali, coinvolse la poesia patriottica e creò generazioni di improvvisatori, anche autodidatti di estrazione popolare, che puntavano sui classici come Dante, Petrarca e Ariosto. La Divina Commedia era una delle letture predilette dei vari rimatori. Ne è un esempio un componimento della poetessa Teresa Bandettini che improvvisò la prigionia del Conte Ugolino.
Teresa era nata a Lucca nel 1763 da una famiglia modesta. Fin da piccola dimostrò uno spiccato interesse per lo studio, sostenuto da una memoria prodigiosa, e per la poesia. Iniziò molto presto a comporre versi, dilettandosi a improvvisare insieme alla madre, che le rispondeva in rima e la sostenne cercando di soddisfare il desiderio di curiosità della figlia. Sull’aria di questa o quella canzonetta udita anche per strada, Teresa riusciva con maestria ad adattare versi di sua invenzione. La difficile situazione familiare le fece scegliere una strada diversa dalla poesia e accettò di essere scritturata come prima ballerina al teatro corso di Bastia. Si esibì inoltre in vari teatri italiani, da Firenze a Bologna, da Modena a Milano, dalla cui esperienza acquisì doti mimiche e sceniche senza abbandonare la poesia estemporanea, anzi godette di libertà a quel tempo impensabili per una donna. Il marito, Pietro Landucci, Capitano di Cavalleria del Duca di Modena e ballerino di teatro, la incoraggiò e sostenne nello svolgimento dell’attività di poetessa di professione. Nel 1794 il tour toscano la condusse nella sua città natale, dove fu chiamata a esibirsi su temi richiesti al momento come quello sul Conte Ugolino. La Bandettini nutriva un vero culto per i classici e per la Divina commedia in particolare, che dimostrava di conoscere alla perfezione. Nella autobiografia ricorda quando bambina dimenticava pure di fare merenda da quanto era assorta nella lettura e non udiva i richiami della mamma o delle sorelle che la invitavano a pranzo. Lo studio costante sui libri del fratello fu alla base della sua formazione di letterata autodidatta. La tournée toscana si concluse con l’entusiastico successo riscosso dalla performance dantesca a Firenze nel dicembre 1794. Ebbe elogi anche dall’Alfieri , spesso refrattario alle lodi. Agli albori del nuovo secolo, favorevole agli ideali risorgimentali, la Bandettini dà un’immagine di Dante quale “padre della patria” e il suo nome appare insieme a quelli di altri illustri poeti e verseggiatori, quali Vincenzo Monti, Giovanni Pindemonte e lo stesso Ugo Foscolo, tra i protagonisti della raccolta di liriche intitolata “Il Parnaso”, che comprende anche la sua poesia “La pace”, in cui augura una pace prospera all’Italia devastata da anni dal sanguinoso intervento napoleonico dopo la battaglia di Marengo.

La poesia estemporanea fu un fenomeno prettamente italiano, che affascinava il pubblico straniero, ma non si può ridurre a puro diletto, avulso da motivazioni culturali. Infatti essa raggiunse tutti i ceti sociali e il testo dantesco vide la sua fortuna proprio grazie a un consumo sia a livello alto nei salotti borghesi, sia a livello popolare nelle piazze. Gli strati sociali più umili riuscirono così ad accedere al sapere e a farsene addirittura divulgatori.
Caso emblematico è quello della poetessa pastora di Pian degli Ontani Beatrice Bugelli. Per quanto analfabeta, grazie a un’innata vena poetico-creativa, divenne una vera protagonista nella storia della poesia d’improvvisazione fra Ottocento e Novecento. Eminenti letterari si recarono nel cutiglianese per conoscerla e ascoltarla. Il primo fu Niccolò Tommaseo, che la incontrò nel 1832, restando impressionato per le doti espressive e la bravura nel sapere improvvisare ottave su un repertorio di qualità, pur essendo analfabeta. Anche Massimo d’Azeglio e Giuseppe Giusti si recarono a conoscerla. Lo stesso Renato Fucini la intervistò e l’articolo apparve sul quotidiano Domenica del Fracassa. Essa possedeva un tesoro testuale costruito con la memorizzazione di formule, versi e brandelli di classici come Petrarca e Dante, rimodellati con l’abitudine all’ascolto e alla rielaborazione ad alta voce. Pare che esibisse tutto il suo talento nel contrasto in ottava rima, cioè eccellesse nell’agone poetico con altri improvvisatori. La stessa Beatrice raccontava di aver appreso quei versi nel tempo passato, quando a veglia i vecchi assumevano il ruolo di intrattenitori e i bambini si incantavano ad ascoltarli e memorizzarli.
Persone come Beatrice offrivano svago e divertimento, rafforzando socialità e cultura contadina e nello stesso tempo assolvevano anche una funzione educativa, poiché diffondevano un’infarinatura di grammatica e lessico della lingua di uso comune. Possiamo leggere queste notizie nella biografia “Storia del popolo, Beatrice di Pian degli Ontani”, scritta da Francesca Alexander, una gentildonna americana innamorata della Toscana e amica della poetessa. Nel 1859, come racconta la biografa, durante lo “scoppio del vigore d’Italia”, ossia delle guerre d’indipendenza così chiamate dai montanari, anche i due figli della Bugelli avevano indossato gli abiti militari. La madre, in ansia per loro, si recò a pregare alla Pieve di Cutigliano. Così, davanti alle porte della Chiesa improvvisò una pietosa invocazione in mirabili ottave, aspettando il loro ritorno. Beatrice perciò manifestò tutta l’inquietudine e timore di madre attraverso l’arte, nonostante non comprendesse i motivi di quelle guerre, ma ne fosse solo spettatrice. La fama di Beatrice superò i confini della montagna pistoiese e giunse a Firenze, dove le fu richiesto di esibirsi nei salotti cittadini. L’abate Giuliani la invitava spesso nella sua casa fiorentina, specialmente in occasione delle festività. Una sera, ospite dell’abate, vide per caso la carrozza di re Vittorio Emanuele II nelle vicinanze di Palazzo Pitti . Non ebbe un momento di esitazione e, accesa in volto per l’emozione, partì come un razzo e cantò una bella ottava, senza curarsi della folla intorno. Nonostante la notorietà acquisita con il girovagare tra salotti cittadini e piazze del contado toscano, Beatrice continuò il mestiere di pastora e contadina per tutta la vita, fiera delle sue origini. Questo fenomeno poetico ebbe il merito di diffondere un patrimonio culturale che permeò i vari strati sociali tramite coloro che con talento seppero usare la parola cantata e recitata, diventando in tal modo dei veri e propri mediatori culturali a beneficio di chi non aveva accesso all’educazione scolastica.

Questo patrimonio orale va trasmesso alle giovani generazioni, difeso e non disperso. Questo è proprio l’obiettivo con cui è nato il Centro Tradizioni Popolari Empolese Valdelsa nel 2015.


Tamara Morelli